«Talvolta le immagini chiamano la penna, altre le parole incitano il pennello».
Così la critica d’arte parigina, Brigitte Camus, descrive “Aimer en capitales”, l’esposizione di opere di Olga Antonenko e Jean Lamoureux, in mostra presso la Galleria Monteoliveto fino al 10 maggio (infoline 08119569414 – www.galleriamonteoliveto.it – galleriamonteoliveto@gmail.com).
La forma si perde, e diventa un vacuo contenitore di emozioni e suggestioni, a stimolarle c’è la parola, che pungola l’anima, oppure un luogo, o ancora una musica, un canto, le atmosfere rarefatte della Ville lumiere si confondono con i passionali costumi argentini o gli eleganti caffè dell’Est; ogni opera diventa testimonianza di un viaggio, di un percorso, di un passato che si è cristallizzato in colori e sfumature, in soggetti e volumi, ed è ora estraneo a chi l’ha compiuto, è ora patrimonio degli altri, di tutti gli altri, che in quella rugiada cromatica possono intraprendere il proprio personalissimo viaggio.
«La speciale commistione di parole e pittura/scultura non è nuova al nostro spazio, ciò che è diverso rispetto ai precedenti è l’alterità che appartiene alle opere stesse, è la magia che sono in grado di evocare».
Questo lo spunto di Chantal Lora, responsabile dello spazio all’11 di piazza Monteoliveto, che sottolinea il vero concept di “Aimer en capitales”, creazioni che non appartengono più all’artista per regalarsi al pubblico, come carillon di emozioni, come scatola dei ricordi, come film di una vita ancora da compiere, «i miei lavori nascono e si esauriscono in cicli, dalle lettere di “Je t’aime” alle stagioni, passando per le “fenêtres sur Paris”, li sento miei solo nel momento in cui li creo, in cui li finisco, poi diventano altro, non li avverto più come parte di me, sono destinati all’osservatore, ciò che continua ad appartenermi è il colore, la cromia che veste in modo vivace le emozioni che porto su tela, e non solo».
Così Olga Antonenko descrive la sua pittura, una pittura estremamente materica che tende alla scultura anche su supporti piatti, lo sforzo verso la terza dimensione non è strutturato in prospettive o giochi ottici, bensì nell’aggiungere pittura, nel mettere colore e far sì che il soggetto evada, si elevi, sfugga.
Ad accompagnare questa curiosa evasione, dolce e sensuale, ci pensano le parole di Jean Lamoureux, sono loro a tessere un ordito emotivo con cui ricoprire ricordi e desideri: «sono una musica che si può ascoltare, leggere, cantare».
La mostra, perfettamente raccontata nell’elegante catalogo omonimo, con testi a cura di Beatrice Bregoli Orts, Gennaro Oliviero, e Brigitte Camus, e i contributi di Etienne Lamoureux, Florence Berthezène e Chloé Gazave, è preludio ad una stagione di nuovi lavori che esploreranno ulteriormente la tridimensionalità, con un’osmosi sempre più evidente tra il gesto pittoscultoreo e le parole.
Rosaria Morra
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